
Novità legislative
Molte persone tra le quali, ad esempio, gli stranieri che vogliono presentare domanda di cittadinanza italiana per residenza, si trovano spesso a di fronte a un problema molto comune, riguardante il requisito fondamentale di tutto il procedimento: il c.d. buco di residenza, o cancellazione della residenza.
Chi subisce un provvedimento di cancellazione della residenza anagrafica (che comporta la perdita della residenza) potrebbe, infatti, rappresentare un grave problema, sia per i cittadini italiani che per i cittadini stranieri che desiderino presentare domanda di cittadinanza italiana.
In tal caso, infatti, il numero degli anni di residenza in Italia dello straniero (utili al raggiungimento dei 10 anni necessari) si azzererà, poiché la residenza deve essere continua e ininterrotta, e la cancellazione anagrafica interrompe la residenza stessa.
Ad esempio, la cancellazione della residenza italiana per irreperibilità, come gli altri casi di revoca della residenza anagrafica, è un provvedimento lesivo per chiunque (per le ragioni che abbiamo visto), ma in modo particolare per uno straniero. Inoltre, purtroppo spesso accade che lo straniero che si è visto togliere la residenza, venga a conoscenza della cancellazione di residenza italiana soltanto quando il procedimento di cittadinanza sia già in corso, se non addirittura soltanto nel momento in cui il Ministero dell’Interno notifichi il preavviso di diniego per, appunto, mancanza del requisito della residenza anagrafica ininterrotta.
Risulta chiaro, a questo punto, che la perdita della residenza italiana, ovvero della residenza anagrafica, comporti in automatico la perdita della possibilità di ottenere la cittadinanza italiana per residenza.
La Giurisprudenza
Ci si chiede, quindi, se gli stranieri che abbiano subito la perdita di residenza italiana possano comunque presentare la domanda di cittadinanza, avendo documenti in grado di dimostrare la
loro presenza in Italia durante il tempo che va dalla cancellazione della residenza alla nuova iscrizione. A tale domanda ha risposto negativamente il Tar Lazio, con la sentenza n. 9747/2014 del 29 maggio 2014, con la quale ha affermato che la residenza richiesta per poter presentare domanda di cittadinanza è quella anagrafica “alla cui assenza non è possibile ovviare mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare aliunde la presenza sul territorio”.
Dunque, “Non si rivela utile a configurare il presupposto della residenza legale ultra decennale il mantenimento di una situazione residenziale di mero fatto, essendo invece a tal fine necessario che la stessa sia stata accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe”.
Ne consegue che “l’interessato non può provare la residenza attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica perché la legge demanda ai registri anagrafici l’accertamento della
popolazione residente e coerentemente l’art. 1 d.P.R. n. 362/1994 e l’art. 1 c. 2 d.P.R. n. 572/1993 impongono che la prova della residenza sia fornita attraverso l’esibizione del certificato di iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente”.
Bisogna, perciò, concludere che l’unica possibilità per lo straniero che abbia subito l’annullamento della residenza italiana sia quella di presentare un ricorso.
Il Ministero dell’Interno, con la circolare n. 17 del 04.07.2011, ha riconosciuto che “le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione coinvolgono situazioni di diritto soggettivo, in quanto, come anche affermato dalla
giurisprudenza formatasi in materia, l’ordinamento anagrafico della popolazione residente è predisposto non solo nell’interesse della p.a. alla certezza sulla composizione e i movimenti della popolazione, ma anche nell’interesse dei singoli individui a ottenere le certificazioni anagrafiche a essi necessarie per l’esercizio dei diritti civili e politici. Inoltre – chiarisce ancora la giurisprudenza – tutta l’attività dell’ufficiale d’anagrafe è disciplinata in modo vincolato, essendo rigidamente definiti i presupposti per le iscrizioni, mutazioni e cancellazioni anagrafiche, onde l’amministrazione non ha altro potere che quello di accertare la sussistenza dei detti presupposti” (ad es., tra le altre, Cass. Civ., Sezioni Unite, n. 449/2000, TAR.
Piemonte n. 211/2011, TAR. Lombardia, n. 1737/2010; TAR. Lazio, n. 5172/2009).
Ne consegue che, il ricorso contro il provvedimento di cancellazione anagrafica, possa essere presentato non solo al Prefetto, ma anche al Giudice Ordinario, secondo le norme dettate dal codice di procedura civile.
Invece, nel caso in cui lo straniero abbia subito il diniego della residenza anagrafica in via di autotutela, l’unica strada possibile rimarrebbe il ricorso al giudice ordinario per vedere ripristinata la residenza anagrafica ininterrotta e poter presentare domanda di cittadinanza italiana.
Se la cancellazione è stata disposta per irreperibilità, possiamo sicuramente fare riferimento all’art. 3, comma 2, del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 – nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente – secondo il quale: “Non cessano di appartenere alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti in altri comuni o all’estero per l’esercizio di occupazioni stagionali o per causa di durata limitata”.
Pertanto, lo straniero che sia stato cancellato per irreperibilità, potrebbe anche richiedere la revoca del provvedimento dimostrando la “temporaneità della sua assenza”: prova da fornire, sicuramente, tramite la produzione di documenti quali contratti, utenze, e quanto altro sia utile a dimostrare la sua presenza all’interno del territorio nazionale.
L’obiettivo, in tal caso, sarebbe quello di fare luce su circostanze di cui l’Amministrazione non era a conoscenza, o che comunque non aveva valutato al momento dell’emanazione del provvedimento di cancellazione, con lo scopo di ottenere una nuova valutazione dei fatti.
In secondo luogo, si ricorda che è sempre possibile verificare, tramite l’istanza di accesso agli atti, che il provvedimento sia stato emesso nel rispetto delle forme di legge, avuto particolare riguardo sia alla legge anagrafica che al relativo regolamento di attuazione.
La revoca, pertanto, può essere richiesta anche per la presenza di vizi formali che invalidano il provvedimento; come da Circolare Istat del 5 aprile 1990, n. 21, o per vizi di notifica del provvedimento stesso, ecc.
Chiarastella De Angelis – Consulente Legale
Riferimenti Normativi
- Consiglio di Stato, III^ Sezione, n. 6143/2011, sez. VI, 25 marzo 2009, n. 1788, Tar
Lazio, sez. II – Quater, sent. n. 8741 del 6 agosto 2014, nn. 7858 e 5576 del 2013, n.
19121 e 10546 del 2012; - Tar Lazio, con la sentenza n. 9747/2014 del 29 maggio 2014;
- Ministero dell’Interno, circolare n. 17 del 04.07.2011;
- Cass. Civ., Sezioni Unite, n. 449/2000, TAR. Piemonte n. 211/2011, TAR. Lombardia, n. 1737/2010; TAR. Lazio, n. 5172/2009;
- Art. 3, comma 2, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223;
- Circolare Istat del 5 aprile 1990, n. 21.